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Mariacarmela Giordano

02/04/2021

La vostra azienda è immune dal Principio di Peter?

Fra satira e realtà


Nel 1969 lo psicologo canadese Laurence Peter pubblicava un saggio sulle dinamiche di carriera meritocratiche nelle organizzazioni, destinato a diventare un evergreen negli ambienti delle Risorse Umane e dell’organizzazione aziendale.


Il saggio si intitolava “Il principio di Peter – Perché le cose vanno sempre storte”.

Un sottotitolo ironico ed intrigante, che anticipava con grande efficacia il taglio satirico e a tratti un po’ surreale dell’intero studio.


Come funziona il principio di Peter


Il principio in questione, infatti, tradotto dall’inglese suona così: “In una gerarchia, ogni dipendente tende a fare carriera fino al proprio livello di incompetenza”.


Il Prof. Peter si riferiva in primis alle organizzazioni aziendali, all’epoca forse ancor più caratterizzate da gerarchie strutturate e rigide, e all’acclamato principio della meritocrazia.


Applicando un approccio meritocratico, infatti, il dipendente che ha prodotto i risultati più brillanti nel suo ruolo sarà “inevitabilmente” promosso ad un ruolo superiore, di maggiore complessità e dove si richiedono competenze aggiuntive.


Se anche in questo nuovo ruolo il neopromosso riuscisse a produrre buoni risultati, in breve tempo verrebbe promosso ancora, fino a ritrovarsi in un ruolo che non saprebbe più gestire con efficacia.

A quel punto, la sua carriera si interromperebbe – nessuna azienda meritocratica promuove un dipendente con una cattiva performance! – e il nostro amico avrebbe così raggiunto il suo livello di incompetenza.


Le conseguenze logiche...


Conseguenza logica di questo ragionamento è che in qualsiasi organizzazione gerarchica, presto o tardi, tutte le posizioni verranno occupate da persone incompetenti, fatta eccezione, forse, solo per quelle “entry level”, i cui titolari di fatto dovranno svolgere tutto il lavoro, guidati ovviamente da responsabili incompetenti.

E questo spiegherebbe come mai, appunto, in azienda “le cose vanno sempre storte”.


Ma quanto è valido, oggi, questo principio?


Sebbene le organizzazioni di molte aziende siano meno gerarchiche e molto più dinamiche di quanto lo fossero negli anni ’60, e le promozioni siano spesso gestite in modo più consapevole, il rischio di incappare nel principio di Peter ancora esiste.


Un eccellente programmatore potrebbe non essere un buon Project Manager, l’operaio specializzato più performante non sarà per forza un buon capo reparto, e il migliore dei venditori potrebbe deluderci come Direttore Vendite.


Il punto è che, in una gerarchia, ogni ruolo “superiore”, soprattutto se di taglio manageriale, implica competenze diverse da quelle necessarie, e presumibilmente sviluppate, nel ruolo di provenienza.

Così come le competenze “core” del ruolo precedente potrebbero non essere altrettanto importanti nel nuovo ruolo.


Come sfuggire al principio di Peter


Quindi, come profetizzava Laurence Peter, ogni promozione è destinata al fallimento?


Certamente no. Ma è necessario rispettare alcune regole fondamentali.


Tra queste, avere ben chiare le competenze “hard” e “soft” richieste dal ruolo di destinazione, conoscere profondamente competenze, esperienze, potenziale ed aspirazioni del promovendo, colmare per tempo i gap che potrebbero comprometterne il successo nel nuovo incarico, ed assicurargli un affiancamento attento ed adeguato nel primo periodo, dopo la promozione.


Il tutto, com’è ovvio, gestito da un responsabile top performer e competente!



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